Giovanni Battista Lampi (1751 – 1830)

Ritratto di Antonio Canova

Olio su tela, cm 51 x 41

Con cornice cm 70 x 59

Giovanni Battista Lampi (Romeno, 1751 – Vienna, 1830)

Giovanni Battista Lampi (Romeno, 1751 – Vienna, 1830)

Ritratto di Antonio Canova

Olio su tela, cm 51 x 41

Con cornice cm 70 x 59

Palpitante irrequietezza del genio, mista a nobile grandezza tradita dalla stessa impostazione del ritratto, dipinto frontalmente, senza distrazioni, con un buio fondale da cui risalta soltanto il volto dell’artista. Queste le virtù che Giovanni Battista Lampi (Romeno, 1751 – Vienna 1830) ha delineato nel presente ritratto del collega Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822). L’incontenibile nobiltà che promana dai fulgidi occhi di Canova, il cui viso è tagliato da una luce radente che ne infiamma jabot e mantello dell’abito, ne metaforizza l’insigne ammirazione di cui al tempo godeva l’eclettico artista, la cui effigie ritorna in molti ritratti di contemporanei ed anche in autoritratti sia pittorici che scultorei.

Con il presente ritratto Lampi ha inteso spendere un accorato omaggio nei riguardi di uno spirito d’animo a lui affine, impegnato nell’aristocratica età delle corti ma consapevole indagatore della moralità intellettuale. L’entusiastico consenso che Canova, protagonista assoluto della stagione neoclassica, seppe risvegliare nei contemporanei è riconoscibile puntualmente nel presente ritratto, compendio dell’assoluta grazia moderna tradotta per mezzo dell’antico quale ottimo ideale estetico. 

A seguito della gavetta salisburghese prima a bottega da F.X. König, allacciato alla corte principesca, poi da F.N. Streicher, Lampi diede inizio ad una florida attività ritrattistica automa che lo condusse presso le corti imperiali più rinomate. La base teorica della sua ritrattistica era costituita dalle lezioni di G. Cignaroli nonché di F. Lorenzi, dai modi ancora tiepoleschi, apprese presso il capoluogo scaligero. Nel 1779 l’artista fu a Innsbruck, protetto dal governatore Gottfried von Heister, dove eseguì il ritratto dell’arciduchessa Maria Elisabetta d’Asburgo-Lorena (1781, Damenstift di Innusbruck) che ne favorì le commesse all’interno della casata austrica. Si trasferì quindi a Vienna, nel 1783, accolto dalla politica culturale giuseppina, in cui eseguì il ritratto a grandezza naturale di Giuseppe II imperatore con le insegne del Toson d’oro. A seguito del servizio prestato presso le corti di Varsavia, dal 1788, e della Moldavia, l’artista raggiunse nel 1792 l’ambita San Pietroburgo, dove per ben sei anni fu rappresentante eminente dell’assolutismo zarista (si ricordi il ritratto di Platon Zubov nelle vesti di ammiraglio, oggi all’Ermitage). Tornato a Vienna, si congedò dall’attività pittorica con un Autoritratto al cavalletto (Museo del Belvedere, Vienna, 1828), passando il testimone al figlio Giovanbattista, non senza aver prima immortalato l’effigie del Canova in un altro dipinto, nel 1806 (oggi Liechtenstein, Princely Collection).

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